Arciconfraternita dei Genovesi

L'Arciconfraternita dei Genovesi di Cagliari

 

Nei secoli XVI e XVII ci fu un grande fiorire, in città e nell'isola, di associazioni di laici, chiamate confraternite, che si riunivano per fini devozionali ed assistenziali. Dopo il concilio tridentino la nascita di nuove confraternite fu notevolmente incoraggiata dalla Chiesa che intravide in queste forme di religiosità laicale un efficace veicolo di diffusione della fede tra il popolo. Esse si radicarono profondamente nel tessuto sociale cittadino e molte continuano la loro attività ancora oggi. Ciascuna confraternita si distingueva per una devozione particolare alla Madonna (l'Arciconfraternita d'Itria), al Santissimo Crocifisso (la Confraternita del Santissimo Crocifisso), al Rosario (la Confraternita del Rosario), al Santissimo Sacramento (le Confraternite del Santissimo Sacramento); alcune curavano il culto verso una santo in particolare (l'Arciconfraternita del Gonfalone sotto l'invocazione a Sant'Efisio); altre ancora si dedicavano a compiti più gravosi come la sepoltura dei morti (la Confraternita del Santo Sepolcro) o l'assistenza ai condannati a morte (la Confraternita del Monte di Pietà, la più antica di Cagliari). Ogni associazione aveva la sua sede presso una chiesa.

L'Arciconfraternita dei Genovesi si distingue dalle altre costituitesi nello stesso periodo in città, perché richiedeva come requisito essenziale per farvi parte l'appartenenza alla nazione genovese (lo stesso avvenne a Sassari dove i membri della confraternita del Santissimo Sacramento o di Sant'Andrea erano genovesi o corsi. Sulla provenienza geografica si basava anche la Congregazione dei siciliani, sorta nel XVII secolo nella chiesa di Santa Rosalia a Cagliari, che riuniva tutti quei palermitani che, si diceva, fossero giunti nell'isola per sfuggire alla terribile epidemia di peste che colpì la Sicilia. I confratelli, solo maschi, dovevano (e devono anche oggi) essere liguri, o figli di liguri, anche se nati altrove, di età non inferiore ai 18 anni ed "appartenere per stipite ad uno dei 50 mandamenti di Genova". Il sodalizio nacque per scopi devozionali, ma anche per assistersi reciprocamente, mantenendo sempre un legame molto forte, sia culturale sia affettivo, con la madrepatria. Essi si posero sotto la protezione dei SS. MM. Giorgio e Caterina, santi molto venerati a Genova (il culto di San Giorgio era praticato soprattutto a Genova; Santa Caterina d'Alessandria, invece, era particolarmente venerata ad Alassio ed essendo gli alassini in grande maggioranza nella comunità ligure presente in città, essi riuscirono ad imporre la loro santa).

La presenza genovese in Sardegna risalirebbe ai primi decenni dell’XI secolo. Da questo periodo si stabilirono dei floridi rapporti commerciali tra l'isola ed i genovesi, che continuarono nei secoli successivi anche quando le due Repubbliche marinare di Pisa e Genova cominciarono a contrastarsi per l'egemonia sull'isola. Questi scambi proseguirono nei secoli. La comunità genovese, soprattutto a Cagliari, era numerosa ed economicamente molto attiva (nel Cinquecento molti genovesi abitavano nel quartiere di Castello nella via che da essi prese il nome: via dei Genovesi). Ciò è attestato dalla decisione presa dal senato della Serenissima Repubblica di nominare un console, con mandato quinquennale, che rappresentasse in città il Governo della gloriosa Repubblica.

La confraternita aveva per statuto differenti scopi: curare la vita spirituale, visitare le chiese, adorare il Santissimo Sacramento, amministrare l'Eucaristia agli infermi, assistere i moribondi e dare cristiana sepoltura ai confratelli defunti. In origine essa si riuniva nella chiesa di Santa Maria del Gesù, officiata dai frati minori osservanti (conosciuti in quel periodo anche come zoccolanti) situata, con l'annesso convento, nell’odierno viale Regina Margherita, dove si costruì nel 1828 la Regia manifattura tabacchi. Essi vi avevano eretto una cappella consacrata ai SS. Martiri Giorgio e Caterina. Sotto il pavimento marmoreo della cappella trovavano decorosa sepoltura i confratelli defunti, a significare che il sodalizio che legava i confratelli durante la vita proseguiva dopo la morte. L'associazione dei genovesi fu formalmente stabilita in confraternita nel 1587 dall'arcivescovo di Cagliari Francesco del Val. Nel 1591 il Pontefice Gregorio XIV la eresse ad Arciconfraternita (la prima in tutta la Sardegna) e la associò alla primaria Arciconfraternita di San Giovanni Battista dei Genovesi di Roma, eretta dal suo predecessore Sisto V. Questo comportò l'estensione di tutti i privilegi di cui godeva la primaria di Roma, compresa la facoltà di raccogliere elemosine e di riscattare i cristiani catturati dai pirati barbareschi. "L'Arciconfraternita, raccontava lo Spano, ha per divisa due abiti. Il primo è di tela cruda che si usa nelle processioni di penitenza, e per seppellimento dei Confratelli, con una ruvida corda per cordone. Nelle solennità poi hanno un abito di tela bianca fina, cappetta di velluto cremis ricamata in oro, placa di tela in cui è dipinta l'effigie di Santa Caterina V. e M. Nelle pubbliche processioni non hanno posto.

Nel 1599 avvenne il trasloco della sede dell'arcisodalizio dalla cappella della chiesa di Santa Maria del Gesù, alla nuova chiesa edificata in Sa Costa, l'attuale Via Manno. Il motivo di questo cambio di sede fu dovuto a dei dissidi sorti con i frati francescani. La ragion del contendere fu la richiesta avanzata dalla Confraternita della SS. Trinità e del Preziosissimo Sangue di poter stabilire la propria sede nella chiesa di Santa Maria del Gesù. I confratelli genovesi protestarono vivacemente perché nel contratto di locazione precedentemente stipulato con i frati per l'utilizzo della cappella sede dell'Arciconfraternita, si era concordato che nessun altra confraternita avrebbe avuto sede nella medesima chiesa di Santa Maria del Gesù. Ma nel frattempo, i frati avevano già concluso regolare contratto con la confraternita della SS. Trinità concedendo a quest'ultima di stabilirsi nella chiesa da essi officiata. Fu così che i confratelli, convocati da prestabiliti tocchi di campana, nella seduta del 4 luglio 1599, essendo presenti 94 confratelli, presero la decisione unanime di edificare una chiesa intitolata ai loro santi protettori. In quella stessa assemblea alcuni confratelli sottoscrissero delle donazioni in denaro (il console Giò Antonio Martino impegnò 100 scudi d'oro ed i diritti, mealla, di cui godeva sul commercio genovese d'importazione e d'esportazione), altri, artigiani di mestiere, offrirono la loro opera come scalpellini, muratori, fabbri e carpentieri; altri ancora, garantirono legname, ferramenta, calce e sabbia. Nel mese di luglio l'Arciconfraternita acquistava il terreno del canonico Casula in Sa Costa (dove si trovano oggi i Magazzini di Zara). Il 23 novembre 1599 l'arcivescovo di Cagliari Mons. Alonso Lasso Çedeño benediceva la posa della prima pietra della nuova chiesa dei SS. MM. Giorgio e Caterina. Una lastra marmorea in ricordo di questo evento fu murata sulla controfacciata della nuova chiesa (la stessa è murata oggi sul lato interno dell'ingresso della chiesa di Via Gemelli). L'iscrizione latina diceva:

D.O.M. Clemente VIII. Pont. Max. Philippo III Hisp. et Sardiniae rege catholico D. Ant. Coloma Calvillo comite Eldensi istius Regni Prorege. D. Alphonso Lasso Cedeno Archiep. Calarit. Episcopo unionum Sardiniae Primati . Doctore Michele Scarxoni Canon. Calaritano. Proctetore Jo. Ant. Martino nationis Genuen Consuli. Ambrosio Airaldo Augustino Seassaro et Pacifico Nateri liguribus prior. et guardianis archiconfraternitatis SS. Georgii et Catherinae in hac calaritana civitate erecta. Templum hoc sub invocatione eorundem SS. Georgii et Catherinae edificari coeptum est. Deputatis operae dicti Templi eiisdem Airaldo et Seassaro nec non etiam Francisco Astraldo et Prospero Parascosso et ab eodem Archiepo benedictum fuit anno MDXCIX die Mart. IX Cal. Decembr.

Occorsero molti sacrifici e donazioni da parte dei confratelli per costruire l'edificio. Nel 1600 i confratelli si tassarono di un denaro per ogni lira sarda guadagnata sul commercio d'importazione e d'esportazione di qualsiasi merce scambiata nel porto di Cagliari con navi comandate da uomini della nazione genovese. Nel 1602, con una solenne cerimonia, ci fu la traslazione delle spoglie dei genovesi sepolti nella cappella di Santa Maria del Gesù, nel nuovo oratorio di Via Manno. Si trasferirono anche tutti gli arredi della antica sede ancora custoditi dai minori osservanti. Quindi è probabile che in quell'anno il presbiterio fosse già stato completato. Si iniziarono a costruire le cappelle laterali per le quali si impegnarono con risorse personali diversi confratelli (nel 1603 Giò Antonio Martino e Agostino Seassaro, con il permesso dell'Arciconfraternita, intrapresero la costruzione delle prime due cappelle laterali; l'anno successivo altri quattro confratelli ottennero l'autorizzazione ad edificare ed arredare, sempre a proprie spese, altre due cappelle laterali rispettando lo stile delle prime due). Quasi sicuramente, nel 1615 i lavori della chiesa erano a buon punto se i gesuiti ne chiesero all'Arciconfraternita la cessione in cambio dell'ufficiatura religiosa gratuita. Ma gli orgogliosi confratelli rifiutarono l'offerta, rispondendo che la chiesa era stata costruita per i genovesi.

Il progetto originario prevedeva anche la realizzazione di un piccolo ospedale annesso alla chiesa che però non fu mai edificato. Nel 1656, durante la terribile epidemia di peste che colpì la città, i confratelli ospitarono i padri mercedari di Bonaria, il cui convento era stato trasformato in lazzaretto per gli appestati del quartiere di Villanova. Anche il simulacro della Madonna di Bonaria, condotto in processione per le vie della città per invocare l'intervento miracoloso della Vergine, rimase nella chiesa dei SS. MM. Giorgio e Caterina, dal maggio all'ottobre 1656, quando, per l'intercessione di Sant'Efisio, come sostiene la tradizione popolare, il morbo cessò.

Nel 1646, grazie ad una colletta di 1.650 lire sarde, si ordinarono a Genova i marmi per la costruzione dell'altare maggiore e per la commissione della grande tela raffigurante i santi patroni, che doveva ornarlo. Finalmente nel 1648, essendo giunti sia i marmi sia il quadro dei SS. MM. Giorgio e Caterina (che era stato rinviato indietro perché il pittore aveva sbadatamente "dimenticato" di dipingere San Giorgio, cui i confratelli genovesi erano profondamente devoti), si procedette all'erezione dell'altare maggiore. Il 24 novembre 1672 fu sistemato il portale di marmo bianco di Carrara (donato dal confratello Giò Antonio Rosso), scolpito dai due fratelli liguri Carlo e Francesco Rosso. Il portale era costituito da due colonne tortili che, affiancate da due cariatidi, sostenevano una vistosa trabeazione sormontata da timpano spezzato e sagomato a volute, al centro del quale campeggiava lo stemma coronato di Genova. Lo scudo della Serenissima Repubblica, con croce rossa su sfondo bianco, era sorretto da due grifi alati, metà aquile e metà leoni; alla base, su una striscia di marmo forgiata a nastro, era inciso il motto della repubblica ligure: LIBERTAS (lo stesso stemma, salvatosi dalla distruzione della chiesa nel 1943, è stato collocato sul portale d'ingresso della nuova chiesa dedicata ai SS. MM. Giorgio e Caterina, ricostruita ai piedi di Monte Urpinu). Questo portale fu una delle prime espressioni nell'isola dell'arte barocca; mentre la conclusione della facciata a lanterna di carabiniere (adottata in moltissime altre chiese isolane) riportava l'edificio nei canoni architettonici del gotico di ispirazione sardo-iberica. Sia nella facciata, sia negli spazi interni, la chiesa, secondo alcuni studiosi, si richiamava allo stile italiano inaugurato da Galeazzo Alessi nel San Barnaba di Milano, eretto nel 1558. La chiesa aveva un'unica navata sulla quale si aprivano tre cappelle per lato. La semplice facciata corrisponde all'interno della chiesa ch'è di una navata e di bella proporzione, ricca di preziosi marmi con tre cappelle per parte, così la descrisse l'archeologo Giovanni Spano che la visitò nell’800.

In seguito agli sconvolgimenti causati dalla rivoluzione napoleonica che ebbe ripercussioni in tutta Europa, la chiesa fu chiusa al culto per ben 21 anni, dal 1805 al 1826. Solo in quell'anno la chiesa fu riaperta al culto e l'Arciconfraternita ricostituita in tempi brevi. Grazie all'intervento dell'arcivescovo di Cagliari Mons. Navoni, oriundo genovese, con Breve apostolico di Papa Leone XII all'Arciconfraternita dei genovesi furono riconfermati tutti i privilegi di cui godeva prima della sua soppressione. Nel museo dell'Arciconfraternita dei genovesi sono conservati gli atti originali che attestano la ricostituzione dell'arcisodalizio.

Il 13 maggio del 1943, la bella chiesa di Sa Costa, intitolata ai SS. MM. Giorgio e Caterina dei Genovesi, descritta minuziosamente dallo Spano nella sua ottocentesca Guida della città e dintorni di Cagliari, fu distrutta da una bomba sganciata dall'aviazione alleata. In un attimo furono cancellati per sempre i sacrifici che i confratelli sostennero per la sua edificazione. Ma essi non si scoraggiarono: recuperarono dalle macerie tutto ciò che si era miracolosamente salvato dalla distruzione. La nuova chiesa consacrata ai SS. MM. Giorgio e Caterina dei genovesi fu ricostruita negli anni '60 del ventesimo secolo nel nuovo quartiere sorto, nel secondo dopoguerra, alle pendici di Monte Urpinu. La chiesa divenne anche sede dell'Arciconfraternita, una delle poche tra quelle erette nel XVI secolo a Cagliari, a non aver mai interrotto il sodalizio stipulato sei secoli fa. Nel 1999, grazie alle agevolazioni previste dalla legge regionale n° 6/92, l'Arciconfraternita dei genovesi allestì negli ambienti attigui alla chiesa, un museo. Il museo dell'Arciconfraternita dei genovesi espone al pubblico i dipinti, le sculture, gli arredi liturgici e gli argenti che adornavano l'antica chiesa. Il museo custodisce anche il prezioso Archivio dell'arcisodalizio. Lo statuto dell'Arciconfraternita dei genovesi è il primo redatto in italiano volgare nell'isola.

 

                      

 

                   Museo Arciconfraternita dei Genovesi

 

 Notizie storiche: nel 1999 l’Arciconfraternita dei Genovesi allestì un museo per esporre al pubblico il ricco patrimonio di sculture, dipinti, argenti e paramenti sacri appartenuti all’antica chiesa dei SS. MM. Giorgio e Caterina dei Genovesi che sorgeva nella antica Sa Costa, l'odierna Via Manno.

Il 13 maggio del '43 una bomba dell'aviazione alleata distrusse la bella chiesa costruita con il contributo finanziario e manuale di tutti in confratelli genovesi e sede dell'Arciconfraternita. I confratelli cercarono allora di recuperare dalle macerie ciò che si era salvato di tanti anni di storia dell'arcisodalizio, compreso l'archivio. Nel dopoguerra si costruì alle pendici di Monte Urpinu la nuova chiesa dedicata ai SS. MM. Giorgio e Caterina dei Genovesi che è anche la sede dell'Arciconfraternita. Il museo occupa gli ambienti attigui alla chiesa. L'interessante percorso museale, che si articola in diverse sale, non segue né un preciso ordine cronologico, spazia, infatti, dal XVI al XX secolo, né stilistico. I pittori, gli scultori e gli argentieri cui i confratelli commissionarono la realizzazione degli arredi delle cappelle e della capilla mayor dell'antico oratorio provenivano da diverse aree geografiche: Napoli, Roma, Cagliari, Torino, anche se è prevalente il contributo genovese. Questo testimonia la vivacità della florida comunità genovese, stabilitasi in città già dal XI secolo, che intratteneva frequenti scambi, non solo economico ma anche culturale, con la penisola italiana, privilegiando naturalmente quelli con la madrepatria, Genova. La sala che funge da ingresso al museo ospita diverse opere pittoriche, la campana e diversi marmi che adornavano l'antica chiesa. La seconda sala espone numerosi dipinti, i paramenti sacri e gli argenti. Al centro è collocata la Cassa processionale di Santa Caterina d'Alessandria, eseguita nel 1792 dallo scultore genovese Giuseppe Anfosso. Si tratta di una composizione scultorea composta di diverse statue, tutte a metà del naturale, che rappresenta il martirio della santa che, accerchiata dai suoi carnefici, volge lo sguardo al cielo (come disse lo Spano: "Ispira grande confidenza nel cielo"). Questa grandiosa macchina era portata in processione il giorno della festa della santa che ricorre il 25 novembre. Le pareti della sala sono interamente coperte di dipinti. Cinque di queste pitture non appartengono al patrimonio della distrutta chiesa dei SS. MM. Giorgio e Caterina, ma sono state acquistate dall'Arciconfraternita da un collezionista cagliaritano in occasione dell'apertura del museo, per completare il discorso tematico tracciato dalle tele già esistenti. Tra loro ricordiamo una Deposizione di Gioacchino Assereto, il Transito di Santa Caterina da Siena di scuola napoletana, databile tra il 1710 ed il 1730, ed infine Salomè con la testa del Battista, copia pregevole di un dipinto di Bernardino Luini esposto alla Galleria degli Uffizi di Firenze. Sulla parete centrale, si ammira la Crocifissione di Antioco Mainas. La piccola tavola (dimensioni 100x63cm), eseguita a tempera e olio dal pittore di scuola stampacina (fu allievo dei più famosi Pietro e Michele Cavaro) potrebbe essere la parte centrale di un retablo di ridotte dimensioni. Esso raffigura Cristo sulla croce con ai piedi la Madonna, l'apostolo preferito Giovanni e la Maddalena. Sullo sfondo si stagliano nubi basse e scure. Di grande impatto è la grande tela del Santo Rosario, donata all'Arciconfraternita nel 1862 dal ligure Giovanni Cavanna. In essa il Cristo offre ai santi domenicani raccolti ai suoi piedi, il Santo Rosario che porge dal costato insanguinato, dalle mani, dai piedi, dal capo e dal seno immacolato della Vergine Maria. Il quadro, di scuola napoletana (ne esiste infatti a Napoli una copia, inferiore, però, nell'esecuzione all'originale) è attribuito a Bernardo Azzolino che lo dipinse nel 1617.

Tra i paramenti sacri (pianete, piviali, camici, rocchetti, cotte e stole) tutti realizzati con tessuti preziosissimi ricamati con fili di seta, oro e argento, risalta la pianeta con l'effigie dei SS. MM. Giorgio e Caterina e lo stemma della città di Genova sorretto da due grifi alati, dipinti sulla tela. Il ritratto dei due santi invece fu dipinto separatamente e poi applicato sulla pianeta a punto Parigi.

La ricchissima collezione di argenti è custodita in diverse teche di vetro. Gli oggetti utilizzati nelle celebrazioni liturgiche provengono dalla produzione locale e dalla penisola, ma soprattutto dai maestri argentieri genovesi, a significare il legame preferenziale che da sempre lega la comunità genovese di Cagliari con Genova. Lo stile è molto vario e fu naturalmente influenzato dal gusto artistico dell'epoca di esecuzione. La bella croce astile di ispirazione rinascimentale reca il marchio cosiddetto a torretta della Corporazione degli orefici e argentieri di Genova, ed anche il suo autore, che si firmò con le iniziali MM, era genovese. Risale al XVII secolo. Si deve ad un argentiere torinese il magnifico ostensorio diademato, in rame e argento, con la raffigurazione di Santa Caterina d'Alessandria con angioletto che reca la palma del martirio. L'arte degli argentieri locali si espresse nelle varie coroncine e nella palma del martirio della santa alessandrina ed in numerosi altri arredi liturgici.

Nella sala adunanze dell'Arciconfraternita, al primo piano, è esposta sulla parete frontale, la grande tela della Madonna col bambino tra i Santi Giorgio e Caterina che adornava l'altare maggiore della antica chiesa di Via Manno. Attribuito al pennello di Giovanni Andrea de Ferrari, che lo eseguì tra il 1646 ed il 1651, il dipinto simboleggia il matrimonio mistico di Santa Caterina che riceve l'anello nuziale da Gesù Bambino, in grembo alla Madonna. Questo quadro fu rimandato a Genova in quanto il pittore aveva "dimenticato" di ritrarre San Giorgio, cui erano profondamente devoti i genovesi, mentre gli alassini, molto numerosi nella colonia ligure cagliaritana, manifestavano grande devozione per la santa alessandrina. Su una parete laterale è collocata la Madonna della città, quadro che raffigura Gesù Bambino in braccio alla Madonna mentre porge le chiavi della città di Genova a San Bernardo di Chiaravalle, primo vescovo della città e suo patrono. Sullo sfondo si intravedono la lanterna e le mura di Genova. Questa grande pala, nella antica chiesa, era collocata nella cappella dedicata a San Bernardo (la prima sulla sinistra entrando, eretta nel 1603 a spese dei confratelli Agostino Seassaro e Giò Antonio Martino). E’ attribuita alla scuola di Domenico Fiasella detto il Sarzana.

L'allestimento museale si conclude nella saletta che custodisce l'archivio dell'Arciconfraternita. Queste antiche carte non documentano soltanto i sei secoli di vita dell'arcisodalizio, ma forniscono un contributo fondamentale per ricostruire la storia della città e dell'isola. Lo statuto dell'Arciconfraternita, che risale al 1596, è il primo nell'isola redatto in italiano volgare. L'Arciconfraternita dei genovesi di Cagliari è la prima eretta in Arciconfraternita in tutta la Sardegna. La sua erezione risale infatti al 1591 durante il pontificato di Gregorio XIV.

 Letture: per chi volesse approfondire l'argomento suggeriamo la lettura del volume: l’Arciconfraternita dei Genovesi in Cagliari nel secolo XVII, Tesi di Laurea di I. Zedda, Cagliari, 1974.

 

 Dove si trova: in Via Gemelli, 2  di fianco alla chiesa dei SS. Giorgio e Caterina

 Come arrivarci: ci si arriva vicino con l'autobus numero 3 (fermate di Via Scano).

 

Orari di apertura: il museo è aperto al pubblico il lunedì, mercoledì ed il venerdì dalle ore 17,30 alle 19,30. Per le visite di gruppi organizzati è necessario prenotare. Per informazioni: 070 497855.